Cos’è la contrattura capsulare e come può essere trattata?
A volte, non importa quanto sia abile il chirurgo, possono sorgere complicazioni durante o dopo un’intervento chirurgico. Poiché la composizione del tessuto connettivo varia molto da un paziente all’altro, anche il processo di guarigione è del tutto unico per ogni paziente. Questo è il motivo per cui alcuni sviluppano uno spesso tessuto cicatriziale dopo qualsiasi tipo di lesione cutanea profonda, mentre altri possono sostenere tagli profondi e sviluppare solo cicatrici sottili che si attenuano nel tempo. Un altro buon esempio di questa differenza è il modo in cui alcune donne sviluppano smagliature evidenti durante la gravidanza, indipendentemente da ciò che fanno per prevenirle, mentre altre donne superano la gravidanza senza problemi. Inoltre, il sistema immunitario risponde in modo diverso a stimoli uguali e il sistema immunitario di alcuni pazienti può reagire male agli impianti medici. La contrattura capsulare è una delle complicanze più frequenti che si manifestano in seguito ad un intervento di mastoplastica additiva, correttiva o di ricostruzione del seno. Si colloca infatti al secondo posto tra le motivazioni che portano a dover eseguire un secondo intervento. Le informazioni a riguardo sono ancora poche e nebulose ma i tentativi fatti per evitarla hanno portato a una netta diminuzione dell’incidenza di questo disturbo. In seguito all’impianto di una protesi mammaria interna, il nostro corpo reagisce sviluppando una sacca intorno alla protesi in quanto la percepisce come un corpo estraneo e vuole proteggere gli altri tessuti. In linea generale questa capsula periprotesica è molto utile perché isola l’organismo e allo stesso tempo mantiene la protesi in posizione corretta. Essa inoltre si presenta sottile e flessibile e pertanto non crea problemi alla paziente. I disagi si presentano qualora la capsula dovesse ispessirsi e contrarsi, stringendo la protesi e deformando il seno. Non soltanto esso risulterà duro e innaturale ma si avvertirà anche del dolore. Questo può accadere dopo pochi mesi o anche dopo anni, oppure può non accadere affatto. La contrattura può presentarsi in entrambe le mammelle ma più comunemente avviene solo da un lato. In base alla sua gravità possiamo suddividere la contrattura in diversi livelli. C’è ancora molta incertezza per quel che riguarda le cause della contrattura della capsula periprotesica. In piccola percentuale può dipendere dal processo di guarigione individuale per il quale il corpo crea un tessuto cicatriziale più o meno spesso. Sicuramente il fumo contribuisce alla formazione di questa capsula, pur non costituendone la causa primaria. Può altresì derivare da problematiche relative all’impianto stesso (perdita o trasudazione di gel, non sterilità del prodotto) ma anche questo è un caso raro, soprattutto visto lo sviluppo delle protesi di ultima generazione. Un’ipotesi che si sta facendo largo negli ultimi anni è quella della presenza di un batterio nel seno che, invece di causare un’infezione acuta, svilupperebbe una sorta di infezione a bassissima evidenza attorno alla protesi che ricprerebbe la stessa con un sottile strato batterico (Biofilm). Nella maggioranza dei casi tuttavia, la contrattura capsulare sembrerebbe dipendere dal modo in cui viene svolto l’intervento additivo e dal tipo di accorgimenti che si attuano nel post-operatorio. Sebbene non sia stato ancora individuato un modo per scongiurare la contrattura capsulare, negli ultimi anni la sua incidenza è diminuita notevolmente passando dal 20% al 2-5%. Questo miglioramento è stato imputato alle nuove metodiche di intervento, sempre più sicure e meno invasive, e allo sviluppo delle moderne protesi. Per cercare di prevenire la formazione di una contrattura, al momento vengono adottati i seguenti accorgimenti: posizionamento dell’impianto in sede retromuscolare, che sembrerebbe proteggere la protesi da questa complicanza; utilizzo di protesi con rivestimento testurizzato piuttosto che liscio; utilizzo di liquidi antibiotici con cui irrigare la mammella durante l’impianto; ridurre al minimo le incisioni per l’inserimento in modo da limitare il sanguinamento; ridurre al minimo lo spazio creato per l’impianto in modo da evitare eccessivi danni ai tessuti; assicurare l’assoluta sterilità dell’ambiente operatorio e degli strumenti utilizzati; prescrizione di farmaci infiammatori nelle prime fasi del disturbo.